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PRESENTAZIONE

Dall’introduzione al Catalogo "oro e silenzio” di Bianca Martinelli

Pensando a S.G., nell’atto di addentrarsi all’interno del suo lavoro al fine di scandagliarne il senso, la cosa che subito balza alla mente è il bisogno profondo e palpabile, un’innata e viscerale necessità d’espressione. L’invito è a badare bene alle parole, laddove termini quali “bisogno” e “necessità” indicano una pratica che in Gusberti assume toni non tanto facoltativi quanto quelli di una vera, reale e tangibile esigenza; una volontà che emerge, mi si perdoni la metafora, con modalità del tutto simili al comportamento assunto dalle sostanze oleose all’interno di un recipiente d’acqua: si può provare a rimestarle nel vano tentativo di omogeneizzare il composto e confondere le componenti ma le differenti densità, nei tempi giusti, porteranno al ripristino dell’iniziale separazione. Il lavoro di S.G. è più o meno così. Inevitabile. […] Quello che anima S.G. è un sentimento sincero in grado di generare un lavoro onesto, vero, viscerale, deciso e al contempo intimo, lontano da una visione strategica dell’arte intesa come mera provocazione fine a sé stessa e opposto a forme d’espressione che mirano al puro sensazionalismo.
[…] Arte, musica, architettura, fumetto, elementi che negli anni hanno concorso alla determinazione di un gusto, di un’estetica, la sua estetica.
Colpiscono i molti album da disegno colmi di schizzi, bozzetti a penna e matita, ritratti realizzati al parco, studi circa l’anatomia di corpi in movimento o scene carpite dall’intimità dell’ambiente domestico e familiare.[…] L’artista offre sé stessa, pone sul tavolo le carte scoperte dei suoi sentimenti, mette a nudo la propria anima. Nessuna eccezione, anche quando protagoniste dalle opere sono le silhouette di modelle/i, la figura umana e la sua anatomia subiscono una trattazione dai toni nettamente espressionisti in grado richiamare alla mente alcuni esiti della passata e omonima stagione artistica. Conferma e memoria di quanto descritto la si trova impressa nell’utilizzo di un abbecedario visivo denso di rimandi alla figurazione di Schiele così come a quella d’oltreoceano di De Kooning. In particolare, ad accomunarla al maestro viennese, cui Gorlig guarda in termini di grande ammirazione, v’è l’esercizio giornaliero e costante, la predilezione per il ritratto e per la sua realizzazione dal vero, il tratto nervoso, marcato e viscerale, la scelta deliberata di non portare a termine alcune forme e l’utilizzo di versi scritti che in certi casi divengono complementari alla figura nel tentativo di accompagnare sulla tela il fluire interiore. Persino nella scelta dei soggetti, uomini e donne che spesso posano nudi (nel caso di Egon Schiele simbolo del complesso rapporto con il sesso femminile, in quello di S.G. sintomo di una volontà d’indagine circa la complessità della natura umana in senso psicologico che non manca di tradursi nell’esasperazione dell’involucro esteriore) è plausibile riscontrare delle affinità. L'intensità espressiva di corpi che assumono posture innaturali e contorte diviene quindi metafora di un esercizio d'introspezione mentale e psicologica e del relativo tentativo di comunicarne il senso. A fare da sfondo sono atmosfere rarefatte, oniriche e silenziose, spesso connotate dall’utilizzo del colore oro e arricchite dall’inserimento di elementi convenzionalmente ritenuti estranei alla tela, quali frammenti di scritti o corde di chitarra, eppure in grado di saldarsi perfettamente alla superficie compositiva dell’opera per via di quel loro essere parti integranti di un sentimento comune, quello dell’artista e del suo percorso, così fedele e coerente a sé stesso.”

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